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sabato 25 ottobre 2008

La Velatura

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La velatura

Cos'è una velatura, in pittura? Immaginiamo di avere tra le mani uno di quegli involucri trasparenti, colorati, che avvolgono le caramelle dei bambini; posizionando quella cartina tra il nostro occhio e la composizione artistica precedentemente approntata, là sul nostro tavolino per le nature morte, ci troveremmo di fronte ad una "velatura ottica". Proviamo a capire quali sono le differenze che si colgono. Il rapporto tra le luci e le ombre è rimasto inalterato, ma quello che riscontriamo di diverso è che l'intera composizione si è vestita di un nuovo colore trasparente, che tutto avvolge, mutando le tinte ma non il resto. Nel dipingere una tela, la velatura non necessariamente deve rivestire l'intera composizione, ma anche può solo una parte di essa, o un singolo oggetto, come meglio aggrada l'artista all'occorrenza. Quando si parla di velatura pittorica, ovviamente, non ci si riferisce ad un solo colore trasparente, sovrapposto al sottostante, ma sicuramente ad un insieme di tinte più o meno trasparenti, sovrapposte l'un l'altra, che ci permetteranno di raggiungere un risultato coloristico altrimenti impossibile. A cosa serve una velatura? A dare brillantezza e trasparenza, e certamente permetterà di ottenere colori insoliti e di una bellezza senza pari, impossibili da trovare precombinati. Nella realtà, un oggetto verde, ad esempio, non apparirà mai ai nostri occhi come un colore tanto ben definito da poterlo dipingere con il solo verde marcio, o il verde oliva, o il verde foresta o quant'altro. Un oggetto reale apparirà ai nostri occhi come il prodotto di un'insieme di colori e riflessi e trasparenze, insieme, che per convenzione definiremmo, per esempio, verde marcio, ma solo perché è il colore a cui di più si avvicina, a cui più somiglia, per convenzione, ma non perché è l'unica tinta con cui potremmo colorarlo: ecco che le velature sono forse l'unico ausilio che il pittore ha veramente a disposizione per potere meglio imitare il vero. Il mito di Andromeda, in testa di pagina, sia pure un incompiuto, è proprio un esempio dell'utilizzo dei colori dati a velatura.
Si tratta di colori su base acrilica.( L'aggettivo acrilico si riferisce ad un collante sintetico, così come di sintesi è il vinile, utilizzato per i colori e le colle viniliche.) Sostanzialmente si tratta di colori all'acqua: tempera acrilica, tempera vinilica, così come la tempera all'uovo, là dove è il rosso d'uovo a fungere da base collante. Il colore trasparente lo si ottiene allungando la madre tinta con una certa quantità di acqua distillata, nella proporzione di 1/2 (o di 1 a 3), una parte di colore per due di acqua, previa aggiunta di alcune gocce di ammoniaca, onde evitare il moltiplicarsi di eventuali batteri, contenuti nell'acqua, che potrebbero irrimediabilmente compromettere la purezza del prodotto finale. Si rimesta il tutto in maniera omogenea e si lascia depositare, aspettando, a distanza di qualche giorno, che l'acqua di superfice si schiarisca, dandoci la velatura per decantazione: è un po' come si fa col vino, si decanta in un altro recipiente il liquido trasparente, separandolo dalla feccia, che si sarà depositata, perché più pesante, sul fondo del boccaccio utilizzato (possibilmente in vetro). Se il liquido trasparente, colorato, dovesse sembrare troppo acquoso al tatto, poco consistente, si potrà aggiungere qualche goccia di ammoniaca in più, senza esagerare. Per ulteriori informazioni o curiosità , ecco la mia e-mail e l'indirizzo del mio sito web:
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Leonardo da Vinci e la sua tecnica... segreta


Pubblicato da Fabrizio del Bimbo il 04/09/2007

Una scoperta presentata al convegno Ecaart a Firenze in questi giorni.

Leonardo non creava i colori sulla tavolozza ma li riproduceva direttamente sul dipinto, mediante strati sottilissimi di tonalità diverse che l'osservatore vedeva come colore finito. Di questa particolare tecnica, cifra stilistica del genio da Vinci, finora si sapeva per averla letta nei suoi numerosi manoscritti. Adesso invece è stato possibile averne la prova empirica in un dipinto di Leonardo, la 'Madonna dei Fusi', grazie a studi che hanno utilizzato fasci di particelle atomiche.La scoperta è stata presentata alla nona edizione di Ecaart 2007, conferenza internazionale sulle applicazioni degli acceleratori di particelle che si svolge a Firenze dal 3 al 7 settembre con la partecipazione dei maggiori specialisti di oltre 30 paesi. La tecnica pittorica di Leonardo è stata studiata per oltre tre mesi dall'Opificio delle pietre dure di Firenze, punto di riferimento nazionale per il restauro, e dal Labec, il laboratorio di tecniche nucleari per i beni culturali che fa capo all'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e che opera presso il Polo scientifico di Sesto Fiorentino, organizzatore dei Ecaart. "Abbiamo studiato - spiega Cecilia Frosinini, storica dell'arte e responsabile del settore restauro dei dipinti dell'Opificio - in particolare il disegno preparatorio del dipinto ma anche la stratificazione dei pigmenti di colore attraverso analisi assolutamente non invasive per non intaccare minimamente un'opera così preziosa e delicata, sottoponendo il dipinto, tra l'altro, a fasci di subparticelle atomiche".
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